LE DIVERSE TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO TRIBUTARIO
Come affermato nel precedente articolo, https://bit.ly/46SpFRy, l’Agenzia dell’Entrate, quando dal controllo sulla posizione economica del contribuente rileva la presenza di elementi indicativi di capacità contributiva incongruente con i redditi personali dallo stesso dichiarati, procede ad accertamento al fine di verificare la correttezza dei dati dichiarati.
A seconda del metodo di accertamento utilizzato, l’accertamento può essere:
- analitico, attraverso l’analisi della documentazione contabile e fiscale;
- analitico-induttivo, ovvero misto, basato su un esame documentale e presunzioni, di norma fondate su elementi gravi, precisi e concordanti, salvo in caso di omessa dichiarazione o di contabilità inattendibile/omessa;
- induttivo, attraverso l’utilizzo esclusivo di presunzioni che possono essere anche esclusivamente semplici;
- sintetico, ovvero fondato su coefficienti ministeriali.
L’ACCERTAMENTO ANALITICO-INDUTTIVO
L’accertamento analitico-induttivo è utilizzato nei confronti dei contribuenti obbligati alla tenuta delle scritture contabili: attraverso questa tipologia di controllo l’Agenzia dell’Entrate può intervenire sulla rideterminazione complessiva del reddito (compensi, ricavi e volume d’affari) e costi/spese, elementi indicati nella dichiarazione e nell’eventuale bilancio.
Nello specifico, la tipologia viene definita dall’art.39 DPR 600/73, comma 1, lettera d, che dispone quanto segue: “se l'incompletezza, la falsità o l'inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati risulta dall'ispezione delle scritture contabili e dalle altre verifiche, ovvero dal controllo della completezza, esattezza e veridicità delle registrazioni contabili sulla scorta delle fatture e degli altri atti e documenti relativi all'impresa, nonché dei dati e delle notizie raccolti dall'ufficio nei modi previsti, l'esistenza di attività non dichiarate o la inesistenza di passività dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti.”.
La differenza sostanziale con l’accertamento analitico risiede nel fatto che la rettifica analitica induttiva non ha come presupposto un fatto o un documento che dimostri direttamente la violazione delle norme tributarie ma più presunzioni semplici e concordanti tra di loro, che fanno desumere l’esistenza di attività non dichiarate o l’inesistenza di passività dichiarate.
La rettifica ha come presupposto la rilevazione di un fatto certo, come ad esempio il caso in cui dal bilancio si evidenzino tassi di ricarica sulla vendita inferiori alla media del settore, che, sulla base di presunzioni certe precise e concordanti, permette di giungere al fatto incerto rappresentato dall’attività non dichiarata o dalla passività inesistente.
Le presunzioni a cui si riferisce l’art. 39 DPR 600/73 sono relative, il che attribuisce al contribuente il diritto di fornire la prova contraria: concettualmente la prova contraria consiste nella dimostrazione, sulla base degli stessi elementi presuntivi o di altri non considerati dalla Pubblica Amministrazione, dell’esistenza di un fatto incerto diverso da quello accertato.
Il riferimento fatto dal legislatore alle presunzioni certe, precise e concordanti non permette il ricorso all’istituto in commento nei casi in cui gli elementi posti a base delle presunzioni non siano dei fatti certi ma altre presunzioni: in questo caso, infatti, l’accertamento sarebbe annullabile per un vizio nella formazione della volontà della Pubblica Amministrazione, c.d. eccesso di potere, in quanto il presupposto dei maggiori ricavi non sarebbe un fatto certo ma un’altra presunzione.
La figura dell’accertamento analitico presuntivo è utilizzabile anche per contrastare i comportamenti c.d. antieconomici: in questo caso gli elementi certi e precisi sono costituiti dai comportamenti assolutamente contrari ai canoni dell’economia, che il contribuente non riesce assolutamente a giustificare, e che sono finalizzati all’ottenimento di benefici fiscali altrimenti indebiti. La Corte di Cassazione ha specificato che il ricorso all’accertamento analitico induttivo è legittimo se l’amministrazione finanziaria abbia applicato i parametri presuntivi, personalizzati in relazione alla specifica situazione del contribuente, ed abbia soppesato e disatteso le contestazioni proposte da quest’ultimo in sede amministrativa: ad esempio, anche un dato statistico rappresentato dalla media di ricarico del settore di appartenenza del contribuente può costituire una presunzione relativa idonea a ricostruire la reale capacità contributiva; segue che, il valore medio può rappresentare un elemento di prova certo solo se effettivamente rappresentativo della realtà economica del contribuente.
L’ACCERTAMENTO INDUTTIVO PURO
L’accertamento induttivo puro si ha quando le omissioni o le false o inesatte indicazioni risultano tali da inficiare l’attendibilità di tutti i dati contabili, l’ufficio dell’Agenzia dell’Entrate può prescindere in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e delle scritture contabili in quanto esistenti, procedendo a determinare l’imponibile in base a presunzioni anche non gravi, precise e concordanti.
L’art. 39, comma 2, DPR 600/73 dispone appunto che: “in deroga alle disposizioni del comma precedente l'ufficio delle imposte determina il reddito d'impresa sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, con facoltà di prescindere in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e dalle scritture contabili in quanto esistenti e di avvalersi anche di presunzioni prive dei requisiti di cui alla lettera d) del precedente comma”. Quanto detto si verifica, ad esempio, quando:
- il reddito d’impresa non sia stato indicato nella dichiarazione,
- non sia stato allegato il bilancio con il conto dei profitti e delle perdite,
- dal verbale di ispezione risulti che il contribuente non abbia tenuto o abbia sottratto all’ispezione una o più scritture contabili,
- le omissioni e le false o inesatte indicazioni, ovvero le irregolarità formali delle scritture contabili siano così gravi, numerose e ripetute, tali da rendere inattendibili nel loro complesso le scritture stesse,
- il contribuente non abbia dato seguito agli inviti disposti dagli uffici competenti,
- abbia omesso la presentazione dei modelli per la comunicazione dei dati rilevanti agli studi di settore, ISA o in caso di infedele compilazione con risulti una differenza superiore al 15% o 50 mila euro, tra i ricavi o compensi stimati applicando gli studi di settore e quelli effettivamente dichiarati.
Il metodo quindi si basa su presunzioni da parte dell’Agenzia dell’Entrate che possono essere anche semplici, prive dei requisiti dell’accertamento analitico-induttivo.
L’ACCERTAMENTO PARZIALE
In ultimo, si considera l’accertamento parziale come definito dall’art. 41-bis DPR 600/73: è una particolare forma di accertamento che consente all’Agenzia dell’Entrate di rettificare il reddito o altro presupposto d’imposta dichiarato dal contribuente, senza limitare la possibilità di successive azioni accertatrici, in virtù di informazioni ottenute da soggetti qualificati, quali direzione centrale d’accertamento, direzione regionale, ufficio Agenzia dell’Entrate locale o altri uffici amministrativi, che facciano ragionevolmente presupporre delle irregolarità tributarie, come:
- esistenza di redditi non dichiarati o redditi parzialmente dichiarati,
- esistenza di detrazioni, deduzioni e/o esenzioni non spettanti in tutto o in parte,
- imposte non versate o maggiori imposte non versate.
L’autorità, quindi, procede a rettificare il reddito, senza precludere eventuali interventi successivi.
A cura di: Massimo Giardino, Dottore Commercialista e Revisore Legale
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