
CURVA DI PHILLIPS: LEGAME TRA INFLAZIONE E DISOCCUPAZIONE, CONSIDERAZIONI ATTUALI
Due delle variabili più importanti che correntemente caratterizzano il dibattito politico ed economico nell’attuale contesto di crisi, prima da diffusione del COVID-19 e poi conseguente alla guerra russo-ucraina, sono sicuramente il tasso di inflazione e il livello di disoccupazione, nonché i risvolti sociali scaturenti.
Per questo motivo, nel presente elaborato si vogliono fornire le basi di ragionamento necessarie per comprendere i dibattiti di attualità correntie le dinamiche economiche sottostanti.
DEFINIZIONE DI CURVA DI PHILLIPS
In macroeconomia, il legame esistente tra l’andamento del tasso di inflazione e quello di disoccupazione è stato teorizzato dall’economista Phillips, sulla base di dati empirici ottenuti nel Regno Unito e negli U.S.A., ed è stato rappresentato in un grafico: la relazione è stata appunto definita curva di Phillips ed esprime l’evidenza di una inversa proporzionalità esistente tra inflazione e disoccupazione; di conseguenza, quando il tasso di disoccupazione è basso, il tasso d’inflazione è alto, e viceversa.

EVOLUZIONE STORICA DELLA CURVA
La prima formulazione dell’equazione è stata calcolata immaginando un’economia con inflazione positiva per alcuni anni, negativa in altri, quindi in media nulla. Con un tasso medio di inflazione pari a zero nel passato è ragionevole aspettarsi un’inflazione nulla anche nel futuro e nel corso dell’anno successivo: questo legame definito come Phillips curve originaria è esattamente la relazione negativa esistente tra disoccupazione e inflazione, dedotta con aspettative di inflazione nulle.
In questo caso, la spiegazione è semplice: dati i prezzi attesi, che i lavoratori assumono semplicemente pari a quelli dell’anno precedente, una minore disoccupazione comporta salari nominali più elevati e, a loro volta, questi si riflettono in prezzi maggiori; in sintesi, una minore disoccupazione comporta prezzi maggiori nell’anno considerato rispetto al precedente passato, quindi un’inflazione maggiormente elevata: questo meccanismo è noto come spirale prezzi-salari.
Ciò che Phillips ha scoperto corrisponde all’equazione dell’offerta aggregata di un mercato e le mutazioni della curva di Phillips sono dovute, in realtà, ai cambiamenti nel modo in cui gli individui e le imprese formano le loro aspettative.
L’offerta aggregata cattura le implicazioni derivanti dall’equilibrio sul mercato del lavoro e descrive gli effetti della produzione sul livello dei prezzi: i salari dipendono dal livello atteso dei prezzi, dal tasso di disoccupazione, e dalla variabile che include tutti i fattori istituzionali che influenzano la determinazione dei salari, dai sussidi di disoccupazione alle modalità di contrattazione collettiva.
Segue che, l’offerta aggregata di un mercato può essere riscritta come una relazione tra inflazione, inflazione attesa e tasso di disoccupazione; per questo motivo, un aumento del livello dei prezzi attesi, porta ad un aumento dei prezzi: se chi fissa i salari si aspetta un maggior livello dei prezzi, richiederà un maggior salario nominale determinando, di conseguenza, un aumento del livello effettivo dei prezzi, implicando un maggior tasso di crescita del livello dei prezzi rispetto all’anno precedente, generando quindi un’inflazione maggiore. Se, invece, si verifica un aumento del tasso di disoccupazione, data l’inflazione attesa, si verifica una diminuzione dell’inflazione corrente: un aumento del tasso di disoccupazione porta a fissare un salario nominale minore, quindi il livello dei prezzi attesi diminuirà, facendo diminuire a sua volta il livello dei prezzi correnti, generando appunto un’inflazione minore.
Di conseguenza, le considerazioni più evolute hanno portato nel corso del tempo a stabilire che la curva di Phillips si modifichi nel tempo: le aspettative dei lavoratori e delle imprese sono dinamiche, pertanto le aspettative diventano adattive. Se ad esempio l’inflazione è significativamente positiva anno dopo anno, aspettarsi che il livello futuro dei prezzi futuri sia uguale a quello corrente diventa sistematicamente sbagliato; segue che le aspettative incorporano la presenza dell’inflazione: questo cambiamento del meccanismo di formazione delle aspettative ha modificato la natura stessa della relazione tra disoccupazione e inflazione.
Infatti, le aspettative si formano sulla base dell’effetto del tasso di inflazione dell’anno precedente sul tasso di inflazione attesa nell’anno corrente, misurato attraverso un parametro di ponderazione; quando l’inflazione è più persistente, i lavoratori e le imprese assumono che, se l’inflazione era risultata elevata nell’anno precedente, sarebbe auspicabile considerarla tale anche nell’anno corrente: il tasso di inflazione non influenza il tasso di disoccupazione, ma piuttosto la sua variazione; una disoccupazione elevata comporta un’inflazione decrescente, una disoccupazione moderata comporta un’inflazione crescente.
La relazione unica tra disoccupazione e inflazione della curva di Phillips originaria ha perso la sua validità, dato che vi sono le aspettative che devono essere considerate, per questo motivo si parla attualmente di curva di Phillips corretta per le aspettative: l’equazione esprime quale sia la nuova relazione rilevante, ovvero quella tra la disoccupazione e la variazione dell’inflazione; quando la disoccupazione è ridotta, la variazione dell’inflazione è positiva; quando la disoccupazione è elevata, la variazione dell’inflazione è negativa.
IMPLICAZIONI SOCIALI
Almeno in linea teorica e senza considerare le altre variabili macroeconomiche di riferimento, gli Stati possono garantire una disoccupazione minore se sono disposti a tollerare un’inflazione maggiore, oppure possono ottenere una stabilità dei prezzi, inflazione nulla o contenuta, sopportando una disoccupazione maggiore.
Numerosi studiosi si sono interrogati sull’esistenza o meno di un trade-off tra disoccupazione e inflazione in un orizzonte temporale più ampio: gli economisti Friedman e Phelps teorizzarono che tale esistenza non sarebbe perdurata nel lungo periodo, in quanto il tasso di disoccupazione non sarebbe sceso al di sotto di un dato livello, detto tasso naturale di disoccupazione; in altre parole, esiste sempre un trade-off temporaneo tra inflazione e disoccupazione, ma tale trade-off non è permanente, inoltre non deriva dall’inflazione in sé ma dalla variazione della stessa.
CONSIDERAZIONI ATTUALI
Nel corso degli anni la Phillips curve ha perso la sua centralità di conduzione della politica economica e monetaria, fino alla crisi del 2008: da allora è tornata nella considerazione del dibattito macroeconomico e, anche attualmente, alcune banche centrali la utilizzano per stabilire la propria operatività, in versioni maggiormente complesse, come ad esempio la BCE.
Volendo riportare ad oggi le considerazioni della Phillips curve relative agli attuali tassi di inflazione e disoccupazione italiani, sono stati estrapolati i seguenti dati ISTAT, aggiornati alla data più recente possibile, divisi per trimestri a partire dal 2021:
- tasso di inflazione italiano misurato come Indice Nazionale dei Prezzi al Consumo per l’intera collettività (NIC), esprimente quindi il livello dei prezzi dell'intero sistema economico, immaginando l’Italia come un unico grande consumatore (tutti i valori sono in percentuale);

- tasso di disoccupazione italiano, calcolando poi la media aggregata del tasso inglobando tutte le classi di età (tutti i valori sono in percentuale);

Riportando in sintesi i dati a confronto:

Dai dati registrati in Italia nell’ultimo anno e mezzo emerge l’effettiva esistenza dell’inversa proporzionalità tra variazione del tasso d’inflazione e tasso di disoccupazione: l’inflazione italiana ha subito un netto aumento di circa 6 punti percentuali, mentre la disoccupazione è scesa circa del 4%; inoltre, attraverso la tabella sottostante è possibile ricavare l’effetto in termini di variazioni trimestrali dell’incremento del NIC rispetto alla variazione in diminuzione del tasso di disoccupazione.

A cura di: Mattia Christian Scioli, Dottore Commercialista
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Per maggiori informazioni:
mattiascioli@valoreassociati.it
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