IL TRANSFER PRICING NELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE D’AZIENDA
La presenza di rapporti commerciali tra società del medesimo gruppo multinazionale o tra società controllate/correlate, ubicate in giurisdizioni diverse, richiede un’attenzione particolare alle tematiche di fiscalità internazionale, in quanto la massimizzazione del profitto aziendale può avvenire, oltre che attraverso l’utilizzo di economie di scala o di gruppo, anche tramite accorgimenti fiscali, al fine di avere principalmente una minor tassazione: segue che i prezzi di trasferimento dei beni e servizi, transfer pricing, tra loro scambiati potrebbero differire dal loro valore reale di mercato; quanto detto potrebbe avvenire all’interno di un gruppo di imprese con prospettive strategiche comuni, considerata la mancata contrapposizione di interessi differenti, abitualmente propria di operazioni stipulate tra soggetti economici indipendenti.
Le cause aziendali sottostanti al transfer pricing possono essere molteplici:
- motivazioni extra-fiscali, come ad esempio esigenze di cassa, spostare i capitali da una nazione ad un’altra, la necessità di ridurre i rischi imprenditoriali, influenzare il credit rating, ridurre i costi operativi e così via,
- motivazioni fiscali, come ad esempio minore tassazione effettiva in considerazione di minori aliquote sui redditi societari o agevolazioni nella fase di determinazione della base imponibile, detassazione di determinate categorie di passive income, quali royalties e via di seguito.
La globalizzazione e la recente crisi economica ha certamente amplificato l’utilizzo del transfer pricing, in quanto i gruppi societari hanno subito ingenti conseguenze negative, sia in termini patrimoniali che di flussi di cassa, generando contestualmente un incremento dei controlli e delle ispezioni da parte delle Amministrazioni Finanziarie.
NORMATIVA VIGENTE
In tema, la principale fonte normativa vigente in Italia è l’art. 110, comma 7 del TUIR, Testo Unico sulle Imposte dei Redditi: “I componenti del reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato, che direttamente o indirettamente controllano l'impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l'impresa, sono determinati con riferimento alle condizioni e ai prezzi che sarebbero stati pattuiti tra soggetti indipendenti operanti in condizioni di libera concorrenza e in circostanze comparabili, se ne deriva un aumento del reddito. La medesima disposizione si applica anche se ne deriva una diminuzione del reddito…”. Di conseguenza, le problematiche possono venirsi a creare a livello fiscale quando il transfer pricing è in contrasto con le normative del libero scambio e della libera concorrenza ai fini OCSE, in quanto i prezzi di trasferimento potrebbero essere diversi rispetto al vero valore del bene o del servizio scambiato: in tal caso, se il corrispettivo della cessione dei beni o delle prestazioni di servizi è inferiore/superiore al valore di mercato si ha un trasferimento di reddito rispetto alle condizioni concorrenziali, dal cedente al cessionario o dal prestatore al committente. Pertanto, la transazione deve avvenire sulla base di un valore congruo di mercato e non in base ad una valutazione soggettiva, frutto di meri vantaggi fiscali: normalmente, la congruità del prezzo viene valutata seguendo le linee guida OCSE; esistono 5 metodi principali di valutazione e per ciascuna transazione effettuata deve essere scelto il metodo ritenuto più appropriato.
La disciplina del transfer pricing si applica a:
- società italiane
- che controllano società aventi sede all’estero,
- sono controllate da società aventi sede in giurisdizioni estere,
- presentano una stabile organizzazione all’estero,
- stabili organizzazioni italiane di società aventi sede in giurisdizioni estere.
In queste casistiche, la disciplina si applica a tutte le componenti positive e negative di reddito d’impresa; inoltre, altro requisito affinché ci sia applicazione della disciplina è quello del controllo e, ai sensi dell’art. 2359 c.c., si distingue:
- controllo di diritto, per le imprese in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria,
- controllo di fatto interno, per le imprese in cui un’altra società dispone dei voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria,
- controllo di fatto esterno o contrattuale, per le imprese che sono sotto l’influenza dominante di un’altra società in virtù di vincoli contrattuali con essa.
In generale, la Circolare Ministeriale n.32/1980 estende il concetto del controllo “ad ogni ipotesi di influenza economica potenziale o attuale”, facendo quindi sorgere la necessità di concreta verifica dell’esistenza o meno di governance comune, tra le due società.
IL RUOLO DEL PROFESSIONISTA
In relazione al transfer pricing, l’attività professionale del Dottore Commercialista e Revisore Legale è di supporto alle imprese: può assistere la società nella determinazione delle corrette politiche di prezzo infragruppo, oltre che nella predisposizione della documentazione necessaria al fine di adempiere agli obblighi normativi. Tuttavia, date le recenti vicende di crisi economica, è maggiormente difficoltosa in quanto risulta più difficile effettuare analisi preliminari comparative, quali analisi di comparabilità e ricerca di transazioni e soggetti comparabili, considerando che gli elementi di crisi costituiscono un disturbo non indifferente e condizionano le operazioni stesse, inevitabilmente svolte in relazione alle esigenze del gruppo, anche a discapito delle singole entità operanti.
Alla luce di quanto affermato, la figura del professionista potrebbe diventare ancora di più quella di un consulente aziendale, strutturando possibili soluzioni al transfer pricing, in un’ottica di breve e lungo periodo:
- breve periodo
- inclusione di società in perdita operativa; revisione di breve periodo degli accordi contrattuali infragruppo in termini di funzioni, rischi e assets, elementi principali da rimodellare, specialmente in un gruppo multinazionale; valutazione di accordi preventivi con le Amministrazioni Finanziarie;
- lungo periodo
- business restructuring, ovvero una riorganizzazione aziendale strutturata delle relazioni commerciali e finanziarie tra imprese associate a livello transnazionale, inclusa la rinegoziazione sostanziale di accordi esistenti o la ridefinizione dei flussi intercompany. Sostanzialmente, vengono spostati in via definitiva elementi come funzioni, beni e rischi all’interno del gruppo multinazionale al fine di generare parallelamente uno spostamento del reddito all’interno del gruppo stesso, ad esempio vendendo rami d’azienda o modificando gli accordi di distribuzione. Le ragioni economiche sono classiche: miglioramento della catena produttiva, riduzione delle perdite di gruppo, massimizzazione del profitto. Può essere riorganizzata anche la produzione nei singoli paesi, sfruttando maggiormente le economie di scala, fondamentali all’interno di un gruppo, ad esempio attraverso la delocalizzazione in paesi dove è possibile accedere ad un costo della manodopera più basso. Generalmente, lo spostamento avviene in paesi in cui sono previsti specifici regimi fiscali premiali: in Italia esiste il Patent Box, regime di esenzione premiale IRES e IRAP in percentuale, per le società che delocalizzano in Italia la funzione ricerca e sviluppo, nonché gli immateriali di proprietà.
A cura di: Luigi Alfredo Carunchio, Dottore Commercialista e Revisore Legale
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