A PROPOSITO DI SALARIO MINIMO…
L’accordo raggiunto in sede europea sul salario minimo, che poco riguarda il nostro paese, ha risvegliato il dibattito politico sull’opportunità o meno di fissare per legge una soglia retributiva oraria minima.
Innanzitutto, è corretto osservare che l’accordo europeo raggiunto è politico, in quanto riguarda fondamentalmente quei paesi dove la copertura della contrattazione collettiva è inferiore all’80% oppure laddove la soglia del salario minimo stabilito dalla legislazione interna non è più adeguata.
SITUAZIONE ITALIANA DI CONTESTO
Il nostro paese ha una copertura della contrattazione collettiva ben superiore all’80%, questo basta ad affermare che oggi l’Europa non ha imposto nessuna azione correttiva all’Italia.
Può bastare questo per poter dire che in Italia non vi è un problema salariale?
Assolutamente no, ed è questo l’ambito di approfondimento.
Per prima cosa, è opportuno distinguere il lavoro “povero” da quello “irregolare”: è sul primo aspetto che diventa maggiormente condivisibile un intervento del legislatore sul tema della soglia salariale minima.
LA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA
Nel 2021 in Italia si è raggiunto il numero di 992 contratti collettivi nazionali: è opinione diffusa che se un CCNL non è sottoscritto da CGIL-CISL-UIL è automaticamente definirlo “pirata”, archiviando in tal modo pagine di studi, giurisprudenza, dottrina sugli articoli 36 e 39 della Costituzione e sulla libertà di associazione sindacale. Sfiorando appena il tema, poniamoci alcune domande:
- la rappresentatività è stata determinata da un conteggio effettivo dei pesi (tessere) sindacali a livello nazionale o settoriale? No;
- possiamo oggi affermare con numeri certi e rilevati oggettivamente che, ad esempio, non esista settore in cui il sindacato UGL non sia rappresentativo tanto quanto CGIL-CISL-UIL? No.
Lungi dal mettere in discussione la storia, i valori e l’effettiva rappresentatività delle sigle sindacali succitate, il problema resta tuttavia irrisolto. Il salario minimo è indubbiamente un’invasione di campo nei confronti della contrattazione collettiva ed è quindi comprensibile la freddezza delle OO.SS ogniqualvolta il dibattito torna in auge. Ma la contrattazione collettiva da sola è oggi in grado di essere un argine al “lavoro povero”? Ha la capacità di rispondere velocemente e con efficacia al tema salariale in un periodo storico in cui l’inflazione viaggia al 6% nel paese?
ESEMPLIFICAZIONI PRATICHE
Proviamo a fare qualche esempio prendendo come riferimento la cosiddetta contrattazione maggiormente rappresentativa.
Il CCNL Agricoltura (Operai), sottoscritto lo scorso 23/5/2022 dalle OO.SS CGIL-CISL-UIL prevede per gli operai florovivaisti una paga oraria lorda che va dai 7,24 € dell’operaio comune, agli 8,41 € dell’operaio specializzato Super. È opportuno precisare che nel settore agricolo abbiamo una contrattualizzazione integrativa di livello territoriale che prevede ulteriori elementi retributivi ma con ritardi nei rinnovi e differenze sensibili negli importi: addirittura, in qualche occasione la contrattazione integrativa territoriale è stata rinnovata dopo oltre 30 anni(!).
Il CCNL Pulizie, sottoscritto il 09/07/2021, dopo ben 8 anni dalla scadenza del precedente rinnovo, è suddiviso in 8 livelli retributivi: attualmente i primi 5 livelli hanno una retribuzione lorda mensile base inferiore a 1.500,00 €, con un primo livello con paga base di 1.154,00 € per 173 ore di lavoro mensili. Se consideriamo i ratei di 13esima e 14esima inglobati, la soglia di 9,00 € l’ora di salario lordo viene raggiunta al 4^ livello previsto per gli operai specializzati, mentre i primi 3 livelli, compreso il personale qualificato, restano al di sotto della soglia.
L’intero settore dell’artigianato presenta altrettante criticità salariali: prendendo ad esempio il comparto della metalmeccanica, di recente rinnovato, abbiamo che su 8 livelli retributivi, la retribuzione lorda mensile di 1.500 € viene superata al 3^ livello (quarta fascia retributiva partendo dalle mansioni inferiori), in corrispondenza del secondo grado di specializzazione del lavoratore. Con la stessa metodologia dei precedenti esempi, la soglia di 9,00 € l’ora di salario lordo viene raggiunta solo al 4^ livello previsto per gli operai specializzati, mentre nei due livelli inferiori (5^ e 6^ rispettivamente personale qualificato e comune) si resta al di sotto della soglia.
Infine, non ultimo in termini di importanza, il terzo settore: non è assolutamente esagerato affermare che la Cooperazione sociosanitaria costituisce il primo pilastro dell’assistenza sociale nel nostro paese e il secondo se si guarda all’area sanitaria; la contrattazione collettiva nel terzo settore è variegata, con la coesistenza di CCNL sottoscritti da sigle autonome e dalle OO.SS definite più rappresentative.
Prendendo a riferimento il CCNL delle Cooperative sociosanitarie sottoscritto dalle principali associazioni di riferimento del mondo cooperativo e da OO.SS CGIL-CISL-UIL abbiamo che su 11 livelli retributivi, la retribuzione lorda mensile di 1.500 € viene superata al sesto livello retributivo (livello D1 dove abbiamo profili e mansioni di evidente specializzazione). Se consideriamo il rateo di 13esima inglobato nella paga base mensile, la soglia di 9,00 € l’ora di salario lordo viene raggiunta solo al quinto livello retributivo, corrispondente al livello C2 dove è presente personale specializzato come OSS impiegati in strutture residenziali e non; i primi due livelli retributivi prevedono una retribuzione base mensile inferiore a 1.300,00 € per il tempo pieno.
SALARIO MINIMO E REATO DI CAPORALATO
Stabilire una soglia salariale minima è indispensabile anche per definire gli effetti della normativa penale in materia di sfruttamento della manodopera, con casi in aumento in molti settori come pubblici esercizi, logistica, edilizia e non solo in campi “tradizionali” come nel caso del caporalato in agricoltura. Il legislatore nel 2016 con la L. 199/2016 modificò l’art. 603 bis del Codice Penale prevedendo che:
“costituisce indice di sfruttamento la sussistenza di una o più delle seguenti condizioni:
- la reiterata corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale, o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato;
- la reiterata violazione della normativa relativa all'orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settimanale, all'aspettativa obbligatoria, alle ferie;
- la sussistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro;
- la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza o a situazioni alloggiative degradanti.”.
Volutamente si sottolinea il testo della norma che prevede l’ipotesi di reato di sfruttamento della manodopera anche al verificarsi di una sola delle 4 condizioni del 603 bis C.P. sopra indicate. In particolare, al punto 1), costituisce indice di sfruttamento la reiterata corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale. In considerazione del tenore letterale della norma, non può sfuggire come si possa rischiare in qualsiasi settore di commettere un reato di sfruttamento di manodopera, con conseguenze penali per il datore di lavoro ma anche sulla società, essendo la fattispecie compresa nel catalogo dei reati di cui al D.Lgs 231/2001. E, restando nel tema di questo approfondimento, deve far riflettere come, per effetto della norma, è possibile avere una situazione di regolarità corrispondendo 1.000,00 € mensili in agricoltura o ad un collaboratore domestico, mentre si rischia la reclusione da 1 a 6 mesi elargendo la medesima retribuzione ad un lavoratore del settore metalmeccanico o della logistica.
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
La contrattazione collettiva nel nostro paese rappresenta sicuramente la più grande forma di libertà di regolamentazione dei rapporti di lavoro. La “buona” contrattazione, unitamente alla normativa vigente dovrebbe rappresentare l’argine nella lotta alla “cattiva” contrattazione o anche definita “pirata”.
Tuttavia, non sempre è così: la normativa è frammentaria e assolutamente poco efficace; infatti, si contano decine di differenti definizioni della contrattazione collettiva, avendo quasi una definizione diversa per ciascuna norma: si va dal “salvo diversa previsione dei contratti collettivi” (quindi tutti), al “in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale”, al “CCNL stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative al livello nazionale nella categoria” al “maggiormente rappresentative a livello nazionale”, e così via, con evidenti conseguenze in sede di giudizio.
I testi dei CCNL sono sempre più complessi, articolati, con un proliferare di indennità, una tantum, maggiorazioni, ore retribuite non lavorate (in alcuni CCNL si arriva ad oltre 360 ore annue), obblighi di carattere normativo/associativo, adesioni ad organismi bilaterali che stentano a decollare, il tutto frutto di compromessi in sede di contrattazione. Regole che però nella maggior parte dei casi restano inapplicate nelle piccole e medie realtà imprenditoriali a scapito della condizione salariale dei lavoratori e della regolarità contrattuale dei datori di lavoro.
È forse arrivato il momento che OO.SS e Associazioni datoriali riflettano su una indispensabile semplificazione della contrattazione collettiva, ponendo particolare attenzione alla produttività del lavoro, alla tutela dei soggetti che rappresentano, sforzandosi di non voler a tutti i costi incasellare il lavoro autonomo e parasubordinato nelle rigide regole del lavoro subordinato, dato che la logica conseguenza sarebbe quella di far aumentare le forme di lavoro irregolare, che andrebbero così ad essere sottratte alla legalità.
Si possono anche accettare, quindi, “invasioni di campo” se necessarie a rafforzare la tutela della dignità del lavoro, subordinato ma anche autonomo, nel rispetto ed in considerazione della realtà imprenditoriale italiana, fatta di eccellenze e grande manifattura ma anche e soprattutto da microaziende, subfornitori, manifattura artigianale, “Gig Economy”.
A cura di: Marco D'Orsogna Bucci, Dottore Commercialista del Lavoro e Revisore Legale
Puoi scaricare l'articolo in PDF qui
Per maggiori informazioni:
marcodorsogna@valoreassociati.it
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